sabato 28 marzo 2009

Decrescita felice: Maurizio Pallante,per un mondo di beni e non di merci


Maurizio Pallante, il più noto esponente del Movimento per la Decrescita Felice in Italia, accenna sul finire di questo interessante articolo anche alla diffrenza far baratto, dono e regalo consumistico...



Per un mondo di beni e non di merci
di Maurizio Pallante

Sostenere la necessità di una decrescita economica e produttiva, descriverne i vantaggi in termini di felicità individuale, di sollievo per gli ecosistemi terrestri, di relazioni più eque e serene tra gli individui e tra i popoli, è un passaggio obbligato nella costruzione di una nuova cultura capace di superare i terribili problemi che il sistema economico industriale, fondato sulla crescita illimitata della produzione di merci, pone all'umanità e a tutte le specie viventi. Ma è come voler parlare a voce in un ambiente dove un potente sistema d i amplificazione sostiene contemporaneamente il concetto opposto. Non si viene ascoltati non solo perché si sostengono posizioni così contro corrente da essere respinte a priori dai più, ma anche perché non si riesce nemmeno a far udire la propria voce. […]
Ciò nonostante occorre ribadire in tutte le sedi i rapporti di causa-effetto tra la crescita del Pil e l'esaurimento di risorse vitali, l'incremento esponenziale delle varie forme di inquinamento, la progressiva devastazione degli ambienti naturali e storicamente antropizzati, la disoccupazione, le guerre, il degrado sociale. Ma l'analisi e la denuncia non bastano. Occorre contestualmente effettuare nella propria vita scelte che comportano decrementi, anche infinitesimali, del Pil.
Innanzitutto perché se si è convinti che la decrescita sia un elemento indispensabile per una vita più felice sarebbe sciocco non cominciare a praticarla subito. In secondo luogo perché se le riflessioni sulla necessità della decrescita si sviluppano da una pratica concreta e sperimentata non sono soltanto speculazioni teoriche e diventano più credibili. Infine perché i vantaggi derivanti dalla loro pratica non si limitano all'ambito individuale, alla costruzione di una nicchia in cui rifugiarsi da un mondo che va in direzione opposta e difendersi dalle sofferenze che genera, ma acquistano il valore di una proposta politica. Nella ossessiva ripetitività e passività dei comportamenti consumisti massificati acquistano visibilità e luminosità, manifestano i loro vantaggi e, di conseguenza, possono suscitare ripensamenti: "Se lo stanno facendo alcuni, per quale motivo non posso farlo anche io?".
Come si può praticare la decrescita nelle proprie scelte di vita?
Innanzitutto chiarendo a se stessi cosa è e come si realizza la crescita del Pil.
A differenza di quanto comunemente si crede, la crescita del Pil non misura la crescita dei beni prodotti da un sistema economico, ma la crescita delle merci scambiate con denaro. Non sempre le merci sono beni, perché nel concetto di bene è insita una connotazione qualitativa – qualcosa che offre vantaggi – che invece non pertiene al concetto di merce. Se si fanno le code in automobile aumenta il consumo della merce carburante, quindi si accresce il Pil, ma si ha uno svantaggio, una disutilità. Viceversa, non necessariamente i beni sono merci, perché si può produrre qualcosa senza scambiarla con denaro, ma per utilizzarla in proprio o per donarla. I prodotti del proprio orto e del proprio frutteto autoconsumati non sono merci e, pertanto, non fanno crescere il Pil, ma sono qualitativamente superiori agli ortaggi e alla frutta prodotta industrialmente e comprata al supermercato. La cura dei propri figli o l'assistenza dei propri vecchi fatta con amore è qualitativamente molto superiore alla cura che può prestare una persona pagata per farlo. Ma questa attività prestata in cambio di denaro fa crescere il Pil, l'altra, donata per amore, no.
Fare scelte esistenziali nell'ottica della decrescita significa quindi ridurre la quantità delle merci nella propria vita. A tal fine si possono percorrere due strade:
1. ridurre l'uso di merci che comportano utilità decrescenti e disutilità crescenti, che generano un forte impatto ambientale, che causano ingiustizie sociali;
2. sostituire nella maggiore quantità possibile le merci con beni.
La prima è la strada della sobrietà. La seconda è la strada dell'autoproduzione e degli scambi non mercantili, basati sul dono e la reciprocità.
Non consumare merci
La sobrietà non è soltanto una virtù di cui il sistema economico e produttivo basato sulla crescita del Pil ha voluto cancellare accuratamente ogni traccia perché non se ne serbasse nemmeno la memoria nel giro di una generazione, ma è, soprattutto una manifestazione di intelligenza e di autonomia di pensiero.
Chi lavora cinque mesi all'anno per acquistare e mantenere un'automobile che gli serve ad incolonnarsi ogni giorno lavorativo due volte al giorno per ore sulle tangenziali nel tragitto casa-lavoro, e ogni giorno festivo […] nel tragitto casa-località di villeggiatura, è un consumista stupido, che si costringe a vivere una vita insopportabile e ben più infelice di una persona che lavora di meno e guadagna di meno, ma proprio per questo non ha bisogno di soldi da spendere in automobili, benzina, auto strade, compensazioni illusorie nelle località di vacanza dello stress accumulato nella settimana lavorativa. […]
Autoproduci i beni
La sobrietà comporta una riduzione della crescita del Pil attraverso una riduzione del consumo di merci, ma non consente una emancipazione dalla dipendenza assoluta nei loro confronti. E la sempre maggiore dipendenza dalle merci è la conseguenza di una sempre maggiore incapacità di autoprodurre beni. Per aver bisogno di comprare tutto ciò che serve a soddisfare i propri bisogni vitali bisogna essere incapaci di tutto. Solo chi non sa fare niente di ciò che gli serve può diventare un consumista senza alternative. La condizione di non saper produrre nessun bene, o quasi, nei paesi industrializzati è ormai generalizzata. Oggettivamente costituisce un enorme depauperamento culturale, che invece è stato proposto e vissuto come un progresso e come un'emancipazione dell'uomo dai limiti della natura. […]
Nell'arco di una generazione alcuni beni di uso comune, come lo yogurt, il pane, la passata di pomodoro, le marmellate, le verdure sottolio e sottaceto, non si sono più fatti in casa e sono stati sostituiti da prodotti comprati al supermercato. L'autoproduzione di frutta e verdura è stata sostituita con prodotti agroalimentari carichi di veleni e senza sapore. Un processo disastroso in cui si sommano perdita di qualità e perdita di conoscenze, ma che è stato considerato un progresso perché ha comportato una crescita quantitativa della produzione di merci e del Pil . […]
Economia del dono
L'autoproduzione di beni e servizi può essere potenziata da scambi non mercantili fondati sul dono e sulla reciprocità, che oltre a essere fattori di decrescita economica contribuiscono anche a rafforzare i legami sociali. Il dono e la reciprocità […] non devono essere confusi con i regali acquistati e donati in un numero di circostanze fittizie crescenti, create appositamente per potenziare il consumismo, né possono essere semplicemente ridotti al baratto (scambio di prodotti senza l'intermediazione del denaro), ma consistono essenzialmente in uno scambio gratuito di tempo, di professionalità, di conoscenze, di disponibilità umana. […]
Maggiore è l'incidenza degli scambi fondati sul dono e la reciprocità, minori sono gli scambi mercantili.
[…]
Può mettersi in moto un processo moltiplicatore con effetti significativi sulla decrescita del Pil e, forse, anche sulla felicità individuale di molte persone. Non è forse questo il significato più profondo della politica?

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