sabato 28 marzo 2009

Economia del dono: Uomo lucrativo e uomo comunitario


Questo articolo di Enrico Caprara, dopo aver messo in luce l'effetto devastante di un atteggiamento orientato ad ottenere il massimo nelle relazioni interpersonali, cedendo il meno possibile (il lucrismo), ci apre alla possibilità di un altro tipo di relazione. La relazione comunitaria, basata sul dono gratuito...


Enrico Caprara - Uomo lucrativo e uomo comunitario

Alla domanda – "Che tipo è, in fin dei conti, l' uomo contemporaneo?" si trova spesso la risposta che egli sia uomo economico. Ciò non è senza dubbio falso. L' economia ha come sappiamo assunto, nella nostra esistenza, un ruolo di centralità e preponderante. Tutto si fa perchè l' economia vada bene – tutto si dice andar bene se l' economia va bene.

Ma pure, dentro questa caratterizzazione di economicità dell' uomo contemporaneo, io credo si possa specificare un po' meglio. Si potrebbe vedere, per esempio, l' economico uomo d' oggi come uomo utilitaristico e come uomo lucrativo.

Sull' aspetto dell' Utilitarismo – l' aspetto cioè della tensione al soddisfacimento in senso materialistico-quantitativo – non mi dilungo: rinvio magari alle considerazioni nel mio scritto Contro quale Modernità, in particolare il paragrafo Le moderne ideologie dell' Utilitarismo, del Progressismo, dello Scientismo.

Noterei, ad ogni modo, che la tendenza utilitaristica potrebbe dirsi caratterizzante l' ambito "psicologico" dell' uomo contemporaneo; mentre la tendenza lucrativa – che in questo scritto vorrei specificamente considerare – è più propriamente riferibile all' aspetto "sociologico" dell' esistere nel nostro tempo.

Il lucro, ovvero il guadagno. Una certa relazione tra i due aspetti – Utilitarismo e Lucrismo (introduco questo secondo termine d' uso non comune) – risulta credo ben evidente. Poichè l' uomo d' oggi è utilitaristico, nel senso che ricerca il possesso, il godimento, della massima quantità materiale, nelle sue relazioni sociali egli è lucrativo, nel senso che ricerca per sè il massimo guadagno – cioè la massima acquisizione di quantità materiale con la cessione della quantità minima.

Io voglio qui intendere – lo manifesto allora esplicitamente – il lucro non come guadagno commerciale. Non cioè come il guadagno che si realizza in un doppio scambio, in una compra-vendita, allorchè prima si cede denaro contro un bene, poi si cede il bene contro denaro, ottenendo più denaro di quanto si aveva inizialmente – la differenza essendo appunto il guadagno. Voglio intendere, piuttosto, un atteggiamento lucrativo, consistente nel disporsi a qualunque scambio con l' idea di ottenere il massimo cedendo il minimo possibile, ed il guadagno sarà allora una certa riuscita di questa operazione, il fatto di avere molto in cambio di poco.

Il mio giudizio verso questo atteggiamento umano è, senza dubbio, negativo. Se esso infatti risulta, evidentemente, svantaggioso e rovinoso per la parte soccombente, per chi si ritrova a dar molto in cambio di poco, il Lucrismo non è alla fin dei conti un “buon affare” neanche per l’ affarista riuscito, che, realizzate le sue spoliazioni, quando avrà fatto intorno a sè il deserto, dovrà comunque viverci nell’ assedio dei diseredati e della propria cattiva coscienza.

Ma pure nel caso in cui, fra due attori lucrativi “che sappiano il fatto loro”, si ottenga uno scambio paritario, questo avverrà solo a seguito di un enorme dispendio di energie, per attuare ogni possibilità tecnica di profitto nello scambio, e ogni possibile difesa dal profitto altrui. A ciò si dovrebbe aggiungere poi che la mentalità lucrativa, una volta preso possesso della psiche umana, non risparmia nessun momento e aspetto della vita: continuamente si architettano occasioni di scambio dove poter lucrare; ogni situazione e relazione della propria esistenza, anche quelle di natura affettiva più che concreta, si pone nella prospettiva di un dare-avere sperabilmente lucrativo – uno scenario di miseria spirituale, la cui risultanza di malessere sembra piuttosto evidente.

Voglio rimarcare dunque il fatto che lucro viene qui inteso come una certa disposizione nel rapporto interpersonale, e non come sovrappiù in una operazione di commercio.
Ed è questa accezione di Lucrismo che, a mio parere, svela compiutamente l’ immoralità e il maleficio, ciò che non è invece considerandolo nel senso del guadagno commerciale. Quest’ ultimo potrebbe anche avere – dentro un certo quadro sociale di riferimento – una sua giustificazione. Il ricarico operato da un commerciante tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, può giustificarsi dal suo lavoro di rendere disponibile il bene, per esempio da un luogo in cui lo si trova facilmente ad un altro luogo.

E’ chiaro, d’ altra parte, che il significato di Lucrismo come io l’ ho inteso risulta ben connesso a ciò che, oggi, si evoca continuamente come “il Mercato”. Il Mercato: ovvero tutto si compra e si vende – e in queste compravendite, il venditore cerca di spuntare il massimo prezzo, il compratore il minimo. Tuttavia, Mercato è un termine ancora piuttosto ampio. Esso potrebbe anche indicare, per esempio, il solo fatto di radunare insieme, porre in relazione compratori e venditori, laddove i prezzi rimangano però non contrattati ma prestabiliti, come accadeva piuttosto frequentemente nel passato, e in qualche caso accade ancora – oramai raramente – oggi.

Ritengo sia più opportuno, quindi, mettere a fuoco un termine e un concetto come quello di Lucrismo, che nel suo riferirsi a un atteggiamento personale – sia pure in ambito sociale – tende a ben evidenziare ciò che di drammatico esistenzialmente da lì deriva. Lucrismo che vuol significare – lo ripeto ancora – la tendenza umana a ricercare in qualunque ambito lo scambio, e nel contesto dello scambio a ricercare il massimo ottenimento con la minima cessione.

C' è, a questo punto, una questione fondamentale che richiede di essere considerata. Il Lucrismo, l' atteggiamento lucrativo, che noi oggi vediamo diffuso generalmente, è naturale all' uomo? In tutte le epoche passate, in tutti i luoghi del pianeta, magari in forme diverse, l' uomo è sempre stato ed è sempre lucrativo? Lo sarà inevitabilmente anche nel futuro?
La mia risposta è no. C' è un filone di studi sociologici, economici, antropologici, che dà testimonianza di un convivere umano non improntato a quell' orientamento, ma invece ad altri valori. Una figura di riferimento, a questo riguardo, è certo quella dell' economista "eretico", di origine ungherese, Karl Polanyi (1886-1964).[1]

Ma, soprattutto, il mettere alla prova la realtà delle cose, dei comportamenti umani, dei propri comportamenti, rispetto alla nostra capacità di valutazione più profonda, autentica, spirituale, sembrerebbe svelarci altre e più proficue opzioni esistenziali. Del resto, chi abbia avuto, come me, la fortuna di conoscere persone di un tempo storico non poi distante dal nostro, persone nate verso l' inizio del novecento, specie in ambienti non metropolitani, avrà potuto constatare l' effettività di un diverso orientamento, in sostanza non lucrativo.
Io ritengo, perciò, che sia possibile considerare verosimilmente altri modi del rapporto umano oltre il Lucrismo. E, tenendo sempre presente quella linea di studi sociali che ho indicato, per quanto mi riguarda fisserei allora tre modi esemplari di rapporto interpersonale: lo scambio lucrativo, lo scambio di reciprocità, la relazione comunitaria.
Oltre il Lucrismo di cui ho detto, perciò, anche le forme dello scambio di reciprocità e della relazione comunitaria.

Lo scambio di reciprocità, come indica la denominazione, è uno scambio in cui, a differenza dello scambio lucrativo, ciò che si dà e ciò che si riceve dovrà necessariamente tendere alla compensazione. Questa compensazione può consistere in equivalenza o in adeguatezza. La relazione di equivalenza è propriamente quella del rapporto di scambio prestabilito; ciò avveniva tipicamente nelle economie arcaiche, laddove quando una unità economica domestica (una famiglia di agricoltori) si ritrovava con carenza di un bene ed eccedenza di un altro, operava con altre unità domestiche degli scambi, ma secondo rapporti che erano già determinati (una certa quantità di olio contro una certa quantità di vino). Del resto, questa forma dello scambio ha avuto notevole utilizzo in tutto il corso della civiltà europea, ed ancora recentemente l' attuazione di prezzi “imposti” rappresentava proprio quell’ antica forma dello scambio.

Lo scambio di reciprocità assume invece il carattere della adeguatezza, fra ciò che si dà e ciò che si riceve, per esempio nelle relazioni che sono state studiate in popoli “primitivi” da una antropologia abbastanza recente[2]. In questo caso, lo scambio di reciprocità viene definito anche come modalità del “dono e controdono”. Ciò che si realizza, qui, non è immediatamente uno scambio; formalmente, qualcuno dona qualcosa ad un altro; il ricevente, tuttavia, resta obbligato in prospettiva sociale a ricambiare, con una controprestazione che non è stata contrattata, non è prestabilita, ma che, se il restituente vorrà mantenere la propria onorabilità ed integrità sociale, dovrà essere adeguata.
Il concetto di “dono” conduce allora alla terza forma di rapporto fra persone: la relazione comunitaria. Il termine comunità proviene dal latino cum e munus (“dono”). La comunità è perciò l’ ambito delle persone che si scambiano fra loro doni.

Ma il dono comunitario non è il dono di reciprocità: il dono comunitario è dono gratuito, è la forma più propria di questo atto. Il motivo del dono gratuito non sta in una compensazione concreta che viene a seguito, ma in una compensazione spirituale che si attua immediatamente. Nella comunità affettiva, il benessere dell’ altro si riflette in benessere proprio.

Che poi, nel vivere di una comunità, così come i membri danno agli altri ciò che possono dare, essi si attendono di avere ciò che sia possibile nel bisogno, è una realtà che tuttavia non muta la sostanza dei rapporti. Non è questa attesa che muove in origine i comportamenti. La relazione comunitaria non è fondata sulla reciprocità, così che nell’ attuarsi vero e proprio della comunità lo stesso concetto di scambio viene a perdersi. E non ponendosi più il problema di assumere un valore di scambio, per cose o prestazioni, l’ idea di denaro non mantiene alcuna necessità e significato.

Ma infine, dopo questo excursus compiuto in altri tempi, in altri luoghi, in costruzioni sentimentali e immaginative – se utopiche, tuttavia non per questo inevitabilmente irrealistiche – torniamo all’ effettività del presente. E’ nostro il mondo non della comunità ma della società – non ci si scambiano doni, si ricercano affari...

Per chi abbia pure intravisto la luce di un’ altra, possibile, esistenza umana, il ritrovarsi qui ed ora richiede un adattamento al negativo. Se non che, agli estremi, la saggezza imponga il nichilismo, l’ autodistruzione del suggerimento evangelico – se ti domandano il mantello, tu dagli anche la tunica... – l’ uomo sia pur di comprensione, di orientamento comunitario, dovrà fare i conti rispetto allo scambio e al denaro: e sarà meglio che i conti li faccia bene.
Ma per la buona salute – dello Spirito – sarà opportuno non tralasciare mai la propria aspirazione, anche fattiva, ad un “altro mondo possibile”, e la realizzazione concreta di altri valori, possibilmente, già nelle pieghe del mondo come esso ora è.

[1] Nei suoi lavori, Polanyi si richiama poi alle ricerche di antropologi come Richard Thurnwald, Marcel Mauss, Bronislaw Malinowsky.
[2] Degli studi molto noti in proposito sono quelli di Marcel Mauss, nel suo Saggio sul dono (1924).

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