sabato 28 marzo 2009

Economia del dono: le esperienze italiane del dono e del baratto



Nel seguente articolo di Monica Di Bari, vengono presentate alcune esperienze italiane che vanno nella direzione di una nuova economia. Interessante anche il riferimento alla rete informale di solidarietà dell’Africa Sub Sahariana.


Barattare, donare, riciclare
di Monica Di Bari

Donare: dare ad altri spontaneamente e senza compenso.
Il dono non è sterile elemosina o un regalo studiato per ricevere in cambio una contropartita diretta. Donare significa far fronte all’esigenza di un singolo che è comunque parte di un gruppo, nella consapevolezza che prima o poi un’esigenza simile toccherà al donatore stesso.
Ogni seconda domenica del mese nella località di Ozzano dell’Emilia, alle porte di Bologna, è possibile barattare, donare e riciclare. Si tratta di un mercatino del dono e del baratto, un’iniziativa nata dalla collaborazione tra la Cooperativa Dulcamara e l’Associazione Amici della Terra di Ozzano. Negli ultimi mesi, in molte città italiane sono state proposte esperienze simili: luoghi in cui effettuare scambi non monetari hanno aperto le porte alla cittadinanza. Un esempio è l'iniziativa del baratto svoltasi a Roma il 21 aprile e promossa da Reti di Pace: un mercato in cui, senza l'ausilio della moneta, sono stati scambiati CD musicali, libri, abiti e altri oggetti.
Dal Nord al Sud della penisola troviamo non solo spazi sociali concreti, ma anche sistemi di scambio non monetari, tra i quali il più diffuso è la Banca del Tempo.
Nella società dei consumi, dove la grande distribuzione organizzata assume un ruolo sempre più totalizzante, un bisogno consapevole e diffuso è quello di riscoprire gli spazi di socialità, dove lo scambio dei beni sia alla base della relazione umana.
Barattare è un primo passo: storicamente, scambiare o barattare due oggetti presuppone un intento commerciale equo per entrambe le parti; ma non basta: donare è un’azione dal significato sociale e antropologico ancora più complesso.
Non si può parlare di dono senza far riferimento al celebre Essai sur le don di Marcel Mauss: l’antropologo individua, alla base del dono e della comunicazione tra singoli e gruppi, il principio di reciprocità, strutturato nel concetto tripartito del dare, ricevere e ricambiare. Il dono non è sterile elemosina o un regalo studiato per ricevere in cambio una contropartita diretta; donare significa far fronte a un’esigenza di un singolo che è comunque parte di un gruppo, nella consapevolezza che prima o poi un’esigenza simile toccherà al donatore stesso; quest’ultimo, a sua volta, può contare sull’appoggio dell’intera comunità. Reciprocità può voler dire che chi ha dato non ottiene necessariamente una restituzione dal suo stesso beneficiario, ma dalla comunità stessa o dal sistema; d’altro canto colui che riceve è chiamato a restituire anche a un terzo, estraneo allo scambio originario.

La rete informale di solidarietà nell’Africa Sub Sahariana
Nell’Africa sub sahariana la reciprocità del dono è regola sociale e garanzia di un singolo in quanto membro di una comunità. Nel saggio L’Altra Africa, tra dono e mercato Serge Latouche distingue la povertà occidentale dalla sfortuna africana: in Africa il concetto di povertà implica quello di solitudine e l’isolamento dalla comunità comporta l’esclusione dagli scambi; nelle principali lingue africane le parole che designano il concetto di “povero” sottendono il significato di “orfano”. Un orfano, senza uno o entrambi i genitori, non può fare affidamento sulla rete di solidarietà della famiglia allargata, determinata in base al vincolo di parentela.
La capacità di costruire una rete di persone sulle quali poter contare è determinante per la sopravvivenza del singolo e della comunità; in base a questo obiettivo la capacità di memorizzare l’identità delle persone è stupefacente. Ciascuno deve conoscere ogni membro della rete, che può contare centinaia di persone: nome, condizione, storia individuale e posizione familiare determinano la conoscenza e gli scambi come relazioni umane.

Il dono, il baratto e la solidarietà nella civiltà contadina
Anche nelle comunità contadine dei nostri nonni ritroviamo il principio della reciprocità: ancora oggi nei piccoli contesti rurali i beni prodotti, se in eccesso, sono scambiati attraverso il dono reciproco. Le reti di scambio non monetario hanno sempre fatto parte della civiltà contadina: frutta, verdura, uova venivano donati a un membro della comunità senza aspettarsi una contropartita diretta. Il beneficiario a sua volta, contando su una produzione abbondante, ne donava una parte all’interno della comunità. Anche il baratto era alla base dell’organizzazione economica: in questo caso due individui potevano scambiare qualità diverse di semi, di vitigni e razze animali. I nuclei familiari godevano di una dimensione allargata che garantiva, in caso di necessità, l’assistenza agli anziani e la cura dei bambini. Maurizio Pallante ne La Decrescita Felice sottolinea come in questi contesti la dinamica del dono e contro-dono di tempo, capacità professionali, disponibilità umana, attenzione e solidarietà fosse alla base dei legami sociali. La stessa parola comunità è composta dalla preposizione cum che significa ‘con’ e indica un legame e dal nome munus che significa ‘dono’.
Recuperare, nella vita quotidiana, il senso del dono e della solidarietà tradizionale significa riappropriarsi dei valori e delle risorse realmente necessari alla comunità; è la base per ripensare un altro tipo di economia in cui lo scambio monetario e non monetario, il baratto e il dono, possano ridisegnare le reti sociali della solidarietà umana. Questo percorso, astratto in apparenza, parte dalla coscienza individuale dei singoli e trova possibilità di confronto nelle esperienze collettive: nei mercati per il baratto o il dono e nelle reti per gli scambi non monetari.

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