Visualizzazione post con etichetta Mauss. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Mauss. Mostra tutti i post

sabato 28 marzo 2009

Economia del dono: Il dono come rapporto


Marco Deriu sottolinea in questo suo articolo come nella nostra società l’idea di benessere collettivo sia diventata un’idea sempre più economica e ci invita invece a riscoprire e a pensare al dono come creatore di legame sociale.


Marco Deriu Il cerchio del dono

L’antropologo Louis Dumont ha descritto la nascita della società di mercato come una rivoluzione di valori perché a un certo punto alcuni economisti hanno iniziato a dire che per quello che riguardava la ricchezza economica non valevano più i valori, il senso di solidarietà sociale, l’etica che in qualche modo faceva parte della società, ma che valevano i principi individualisti dell’utilità e del profitto.
Senza che ce ne rendessimo conto, nella nostra società pian piano l’idea di benessere collettivo, sociale, è diventata un’idea sempre più economica. Marcel Mauss, antropologo e sociologo dei primi del novecento, ha scritto un bellissimo libro “Saggio sul dono”, in cui mette in luce che l’invenzione dell’uomo come uomo economico è in realtà una cosa molto recente. Mauss ci racconta di alcune culture da lui studiate che sono organizzate socialmente sulla cultura del dono. Mauss sintetizza il funzionamento di un’economia del dono con tre obblighi: dare, ricevere, restituire.
Queste tre leggi ci dicono che si crea in quel modo un circolo, perché questo dono è come un filo che tesse una relazione tra persone diverse, anche tra persone che non si conoscono. Perché è qualcosa che obbliga nel tempo, che quindi costruisce una relazione nel tempo, ci rende costantemente e in maniera irrinunciabile dipendenti gli uni dagli altri. In tutte le società, dice Mauss, la natura peculiare del dono è di obbligare nel tempo. Il dono è come se creasse una situazione di indebitamento reciproco. Si crea un legame, un senso di solidarietà e alla fine ognuno sa che riceve più di quello che ha dato.
Jacques Godbout, che ha scritto diversi libri sul dono, dice che il dono è ogni prestazione di beni e servizi che viene fatta senza garanzia di avere una restituzione in cambio. Certo c’è l’idea che prima o poi vi sarà restituita, ma non è scontato, è sempre comunque un’offerta. Ma la cosa su cui insistono gli antropologi è che il dono va pensato non come un oggetto che si scambia, ma come un rapporto, come qualcosa che crea legame sociale.
Per noi occidentali il dono verso gli altri paesi è semplicemente il trasferimento di soldi, di risorse o di beni. Noi concepiamo il dono soltanto come dare e ci dimentichiamo degli altri due aspetti, cioè del ricevere e del restituire, è come se interrompessimo quel cerchio e quel cerchio è proprio quello che crea la relazione. Essendo incapaci di ricevere entriamo in relazione con individui che definiamo poveri, cioè persone che possono solo ricevere.

Economia del dono: le esperienze italiane del dono e del baratto



Nel seguente articolo di Monica Di Bari, vengono presentate alcune esperienze italiane che vanno nella direzione di una nuova economia. Interessante anche il riferimento alla rete informale di solidarietà dell’Africa Sub Sahariana.


Barattare, donare, riciclare
di Monica Di Bari

Donare: dare ad altri spontaneamente e senza compenso.
Il dono non è sterile elemosina o un regalo studiato per ricevere in cambio una contropartita diretta. Donare significa far fronte all’esigenza di un singolo che è comunque parte di un gruppo, nella consapevolezza che prima o poi un’esigenza simile toccherà al donatore stesso.
Ogni seconda domenica del mese nella località di Ozzano dell’Emilia, alle porte di Bologna, è possibile barattare, donare e riciclare. Si tratta di un mercatino del dono e del baratto, un’iniziativa nata dalla collaborazione tra la Cooperativa Dulcamara e l’Associazione Amici della Terra di Ozzano. Negli ultimi mesi, in molte città italiane sono state proposte esperienze simili: luoghi in cui effettuare scambi non monetari hanno aperto le porte alla cittadinanza. Un esempio è l'iniziativa del baratto svoltasi a Roma il 21 aprile e promossa da Reti di Pace: un mercato in cui, senza l'ausilio della moneta, sono stati scambiati CD musicali, libri, abiti e altri oggetti.
Dal Nord al Sud della penisola troviamo non solo spazi sociali concreti, ma anche sistemi di scambio non monetari, tra i quali il più diffuso è la Banca del Tempo.
Nella società dei consumi, dove la grande distribuzione organizzata assume un ruolo sempre più totalizzante, un bisogno consapevole e diffuso è quello di riscoprire gli spazi di socialità, dove lo scambio dei beni sia alla base della relazione umana.
Barattare è un primo passo: storicamente, scambiare o barattare due oggetti presuppone un intento commerciale equo per entrambe le parti; ma non basta: donare è un’azione dal significato sociale e antropologico ancora più complesso.
Non si può parlare di dono senza far riferimento al celebre Essai sur le don di Marcel Mauss: l’antropologo individua, alla base del dono e della comunicazione tra singoli e gruppi, il principio di reciprocità, strutturato nel concetto tripartito del dare, ricevere e ricambiare. Il dono non è sterile elemosina o un regalo studiato per ricevere in cambio una contropartita diretta; donare significa far fronte a un’esigenza di un singolo che è comunque parte di un gruppo, nella consapevolezza che prima o poi un’esigenza simile toccherà al donatore stesso; quest’ultimo, a sua volta, può contare sull’appoggio dell’intera comunità. Reciprocità può voler dire che chi ha dato non ottiene necessariamente una restituzione dal suo stesso beneficiario, ma dalla comunità stessa o dal sistema; d’altro canto colui che riceve è chiamato a restituire anche a un terzo, estraneo allo scambio originario.

La rete informale di solidarietà nell’Africa Sub Sahariana
Nell’Africa sub sahariana la reciprocità del dono è regola sociale e garanzia di un singolo in quanto membro di una comunità. Nel saggio L’Altra Africa, tra dono e mercato Serge Latouche distingue la povertà occidentale dalla sfortuna africana: in Africa il concetto di povertà implica quello di solitudine e l’isolamento dalla comunità comporta l’esclusione dagli scambi; nelle principali lingue africane le parole che designano il concetto di “povero” sottendono il significato di “orfano”. Un orfano, senza uno o entrambi i genitori, non può fare affidamento sulla rete di solidarietà della famiglia allargata, determinata in base al vincolo di parentela.
La capacità di costruire una rete di persone sulle quali poter contare è determinante per la sopravvivenza del singolo e della comunità; in base a questo obiettivo la capacità di memorizzare l’identità delle persone è stupefacente. Ciascuno deve conoscere ogni membro della rete, che può contare centinaia di persone: nome, condizione, storia individuale e posizione familiare determinano la conoscenza e gli scambi come relazioni umane.

Il dono, il baratto e la solidarietà nella civiltà contadina
Anche nelle comunità contadine dei nostri nonni ritroviamo il principio della reciprocità: ancora oggi nei piccoli contesti rurali i beni prodotti, se in eccesso, sono scambiati attraverso il dono reciproco. Le reti di scambio non monetario hanno sempre fatto parte della civiltà contadina: frutta, verdura, uova venivano donati a un membro della comunità senza aspettarsi una contropartita diretta. Il beneficiario a sua volta, contando su una produzione abbondante, ne donava una parte all’interno della comunità. Anche il baratto era alla base dell’organizzazione economica: in questo caso due individui potevano scambiare qualità diverse di semi, di vitigni e razze animali. I nuclei familiari godevano di una dimensione allargata che garantiva, in caso di necessità, l’assistenza agli anziani e la cura dei bambini. Maurizio Pallante ne La Decrescita Felice sottolinea come in questi contesti la dinamica del dono e contro-dono di tempo, capacità professionali, disponibilità umana, attenzione e solidarietà fosse alla base dei legami sociali. La stessa parola comunità è composta dalla preposizione cum che significa ‘con’ e indica un legame e dal nome munus che significa ‘dono’.
Recuperare, nella vita quotidiana, il senso del dono e della solidarietà tradizionale significa riappropriarsi dei valori e delle risorse realmente necessari alla comunità; è la base per ripensare un altro tipo di economia in cui lo scambio monetario e non monetario, il baratto e il dono, possano ridisegnare le reti sociali della solidarietà umana. Questo percorso, astratto in apparenza, parte dalla coscienza individuale dei singoli e trova possibilità di confronto nelle esperienze collettive: nei mercati per il baratto o il dono e nelle reti per gli scambi non monetari.

Economia del dono: Alain Caillé




Il sociologo francese Alain Caillé ripropone in questa intervista la questione del «dono», la critica all'homo oeconomicus, all'utilitarismo esasperato, alla visioni degli esseri umani come "animali interessati"... E ribadisce un concetto chiave: il dono è un gesto decisivo per lo sviluppo della società umana.



Contro la logica dello sfrenato utilitarismo che oggi sembra trionfare in molti campi prende forma una forte opposizione da parte della filosofia e dell’antropologia.
Ad alzare il vessillo della rivolta è stato, nel 1992, il sociologo francese Alain Caillé con il suo Lo spirito del dono – scritto a quattro mani con il collega canadese Jacques T. Godbout – un libro tradotto in cinque lingue che gli ha assicurato fama internazionale.

Ma Caillé aveva già dato fuoco alla santabarbara con la "Critica della ragione utilitaristica" del 1989, che assestava un primo colpo all’assioma dell’egoismo, secondo il quale in ogni azione e relazione sociale non si può che mirare al soddisfacimento del proprio interesse. Ora, in un’epoca ancora dominata dal consumismo, il messaggio di Alain Caillé si rivolge ai sudditi dell’impero neoliberistico: «Quanta parte delle attività dell’uomo, sia personali che sociali, deve essere impiegata per soddisfare il puro e semplice utilitarismo, e quanta invece dovrebbe essere dedicata a produrre significati, pensieri, a dare un senso alla vita, cioè al simbolico, al rituale, al politico, insomma al non utilitario?».

L’individuo obbedisce automaticamente al sempre più pervasivo modello dell’homo oeconomicus, imposto da certa pubblicità: massimizzare utilità e piacere, respingere senza indugio non solo ciò che fa soffrire ma anche, e soprattutto, ciò che non è utile. Eppure – obietta Caillé – uomini e donne non sono venuti sulla terra per agire da «animali interessati», che desiderano soltanto avere sempre più cose; anche se non lo sanno, l’oggetto principale della loro brama non è comunque la ricchezza quanto «l’essere riconosciuti».

Alla 14° sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, apertasi ieri in Vaticano, la nuova filosofia e sociologia, incardinata sul paradigma del dono e dell’altruismo, è stata illustrata dai suoi massimi rappresentanti: Alain Caillé, professore all’Università di Parigi Nanterre e Jacques T. Godbout, professore emerito al National Institut of Scientific Research dell’università di Montreal.


Intervista:

Professor Caillé, in un mondo soggiogato dall’etica dell’utilitarismo, la rivendicazione di una nuova economia, fondata sul dono e sull’altruismo, non sembra velleitaria?
«La gente crede che il dono e la generosità siano inutili fronzoli, sentimenti polverosi gettati in soffitta. Questa idea viene fatta valere con un bombardamento quotidiano dal modello economico dominante, secondo il quale non solo il mercato e gli scambi monetari ma anche l’apprendimento, il matrimonio, la fede religiosa, l’amore e l’odio, la giustizia e il delitto, sono regolati dalla logica egoistica. E invece il dono ha un ruolo oggi come lo aveva nel passato delle società umane. La grande scoperta è merito dell’antropologo Marcel Mauss, nipote ed erede intellettuale di Emile Durkheim, uno dei fondatori della sociologia. Nel 1923-1924, Mauss pubblica i risultati della sua indagine sulla pratica del dono cerimoniale. Però lui non si riferiva soltanto alle società arcaiche e primitive. La pratica di dare, prendere e ricambiare, cioè il principio della reciprocità, è stata posta da Claude Lévi-Strauss alla base della ricerca antropologica».

Sarà duro il lavoro di persuasione per la nuova sociologia.
«Dal 1982 c’è un Movimento Anti Utilitaristico nelle Scienze Sociali, che prende nome da Mauss. E’ nata una scuola di pensiero la quale ha prodotto una rivista (che ho diretto); la tesi del movimento è stata illustrata in oltre mille articoli e più di trenta libri. L’idea che ne scaturisce è che bisogna dare meno importanza all’ homo oeconomicus e più spazio all’homo politicus, all’homo ethicus e all’homo religiosus ».

Che cosa ha scoperto, in pratica, l’inchiesta di Marcel Mauss?
«Ha dimostrato che i doni, nelle società primitive, non avevano alcun valore materiale. Contavano come simboli della relazione sociale, e comunque non avevano nulla a che vedere con la carità. Talvolta esprimevano anche spirito aggressivo e agonismo. Il dono è un simbolo e rispetta la legge della reciprocità. È la circolazione di un debito che può essere invertita ma non fermata».

Che cosa resta del dono arcaico nella società di oggi?
«Prendiamo il caso dei donatori di sangue o di organi. Fanno un dono che potenzialmente è destinato a tutti, alla famiglia, ai vicini, ai concittadini come agli stranieri. L’obbligo di dare rimane una regola della socialità primaria. Esprime amore o amicizia? Secondo me esprime simpatia o meglio quella che io chiamo aimance, cioè più esattamente 'l’interesse per gli altri'. Si tenga conto che la teoria dell’estremo utilitarismo era stata già emendata dalla corrente anglosassone della filosofia morale. L’individuo persegue la duratura soddisfazione del suo interesse personale se riesce anche a massimizzare la soddisfazione degli interessi del maggior numero di persone. Un egoismo altruistico».

Come convertire l’egoista in altruista?
«C’entra la costruzione dell’identità, individuale e collettiva. L’egoista non vuole tanto possedere, quanto 'essere riconosciuto'. Intendiamoci: anche il dono può essere interessato ma le indagini sociologiche mostrano che 'è interessante essere disinteressati'. Il disinteresse paga».

Lo studioso, che partecipa al summit in Vaticano sul bene comune: «Ormai è chiaro che i gesti gratuiti sono un dato decisivo nello sviluppo delle società. Bisogna uscire dall’utilitarismo esasperato»

(Luigi Dell'Aglio - 03/05/2008 Avvenire)